In occasione della Giornata Internazionale del Migrante indetta dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite la tematica di geopolitica di questa settimana si concentrerà sulla recente crisi migratoria che ha investito l’Europa orientale negli ultimi mesi. Le ondate di migranti provenienti dal Medio Oriente, in particolare iracheni e siriani, che hanno tentato di entrare in Europa dal mese di agosto di quest’anno passando per il confine tra Bielorussia e Polonia hanno alimentato un clima di tensioni che ha visto schierati sui due fronti il governo di Varsavia, uno dei principali paesi frontalieri dell’Unione Europea, e il regime di Minsk.
L’escalation ha raggiunto il suo picco nel mese di novembre, quando la Polonia ha registrato più di cinquemila tentativi di forzare il confine con la Bielorussia e il Primo Ministro Mateusz Morawiecki ha richiesto l’intervento di 12 mila uomini dell’esercito per respingere i migranti che si sono rivoltati contro le autorità di frontiera polacche. Di fronte a questi eventi Varsavia ha accusato il presidente bielorusso Vladimir Lukashenko di aver orchestrato appositamente la crisi migratoria per fare pressione sui paesi dell’Europa orientale che fanno da porta d’ingresso nel territorio dell’UE, in primis la Polonia, ma anche gli Stati baltici (Lituania, Lettonia ed Estonia) posti al confine con la Federazione Russa. La Commissione europea ha a sua volta puntato il dito contro il governo di Minsk definendo l’esodo al confine con la Bielorussia un atto di guerra ibrida “per strumentalizzare in modo inumano i flussi migratori e destabilizzare l’Unione europea”. Secondo il portavoce dei servizi speciali di Varsavia, Stanislaw Zaryn, le autorità bielorusse avrebbero aiutato i migranti a distruggere le barriere al confine fornendo loro gli strumenti per tagliare i cavi della recinzione e armi di fortuna per contrastare la difesa armata dei soldati polacchi schierati alla frontiera. A finire al centro delle critiche sono state anche le compagnie aeree bielorusse, responsabili di aver portato i migranti a Minsk con false promesse di accoglienza. La mente dietro a questo “attacco” sarebbe, sempre secondo la Polonia, il governo di Mosca che, nelle vesti di eminenza grigia, avrebbe agito nell’ombra appoggiando la Bielorussia nella strategia di usare i migranti come strumento offensivo per dividere ulteriormente l’Europa su uno dei temi più delicati e controversi: la regolamentazione delle politiche migratorie.
Quale che sia la realtà dei fatti, non si può negare che a pagare le conseguenze di quella che appare agli occhi dell’opinione pubblica dell’UE come una crisi artificiale provocata dal governo di Minsk sono come sempre le vittime del conflitto. A novembre si calcolavano più di 4.000 profughi ammassati al confine con l’UE costretti a cercare riparo dalle temperature glaciali e con pochissime scorte di viveri e acqua. Sebbene lo scenario al confine orientale sia relativamente inedito, l’Europa aveva assistito a episodi simili in occasione di altre ondate migratorie, come quella al confine greco-turco. Sono questi i contesti comuni dove si possono notare alcuni parallelismi nella fase di innesto delle crisi umanitarie: più specificatamente, i migranti diventano dei meri pedoni sacrificabili di una spietata partita a scacchi, mossi secondo una precisa strategia da parte di uno Stato terzo autocratico (Bielorussia e Turchia) per intaccare la stabilità dell’Unione Europea e della NATO attraverso i propri Stati Membri di confine (Polonia e Grecia).
Dinnanzi a l’esacerbarsi della situazione esplosa nella regione dell’Europa orientale la domanda che ci si pone è come l’UE intenderà gestire la crisi umanitaria che potrebbe acuirsi da qui ai prossimi anni. Bruxelles ha adottato una strategia di ritorsione contro la Bielorussia imponendo a Minsk un pacchetto di sanzioni per scoraggiare il traffico illegale di migranti verso l’UE e ha deciso di contenere la guerra ibrida condotta da Lukashenko finanziando la Polonia per la protezione delle sue frontiere. Queste misure, tuttavia, non sembrano riguardare da vicino la necessità di intervenire con una politica migratoria condivisa a livello comunitario. La mancanza di una solidarietà europea che regoli la redistribuzione dei migranti e delle quote di accoglienza rappresenta da sempre un motivo di dissenso e divisione tra gli Stati Membri, specialmente da parte dei Paesi mediterranei interessati dalle principali rotte migratorie (Italia, Spagna e Grecia). La crisi migratoria ai confini orientali rischia di evidenziare l’ipocrisia delle politiche europee e l’indifferenza da parte delle istituzioni europee che, piuttosto che proporre un nuovo patto nel quadro giuridico dell’UE in materia di migrazione e politica di asilo, finiscono per limitarsi a fornire sostegni finanziari a protezione delle frontiere. Non sembra un caso che a essere scelto come potenziale veicolo per la destabilizzazione della solidarietà e unità dell’Europa sia stata la Polonia, uno Stato dove il 53% degli intervistati in un sondaggio del 2018 si è dichiarato contrario all’accoglienza dei rifugiati. La questione dei flussi migratori verso l’Europa rimarrebbe inevitabilmente una materia di propaganda da parte di leader populisti e autoritari e non una missione comunitaria finalizzata a garantire ai migranti la dignità umana e il diritto alla sicurezza. Un rischio che, ancora una volta, Bruxelles non dovrebbe sottovalutare.