Il termine ‘democrazia’ ha origini greche – da demos e kratos = ‘governo del demos’ – e indica una delle tre basilari forme di governo, vale a dire una delle modalità in cui il potere politico viene esercitato e, quindi, uno dei modelli fondamentali di organizzazione del sistema politico: monarchia – in cui il governo è in mano a uno solo –, aristocrazia – in cui il governo è in mano a pochi, eminenti per ascendenza – e democrazia appunto – in cui il governo è in mano a molti. Peraltro, vale la pena notare come il riferimento al demos contenga una potenziale ambiguità: da una parte, il demos rappresenta l’intero corpo dei cittadini, quindi è termine tendenzialmente includente e avalutativo, che definisce un insieme di persone privo di un’identità specifica; dall’altra, connota più precisamente il popolo, in contrasto con le fazioni nobiliari. Quindi è termine che comporta potenziali esclusioni e si presta a un uso valutativo. I membri del demos, in questa seconda accezione, sono portatori di un’identità. Inoltre, il riferimento al kratos, che significa ‘potere’, ‘potenza’ ma anche ‘violenza’ è probabilmente spia di un’originaria accezione negativa, che coglieva gli aspetti di prevaricazione sulla legge insiti nel governo del popolo.

Potremmo dedicare pagine e pagine allo sviluppo della democrazia dallo scenario ateniense sino ai giorni nostri ma oggi, nella settimana dedicata alla Democrazia il nostro intento è un altro; per ciò che sino ad ora è stato scritto si capisce quanto i tre valori di cultura, libertà e democrazia, non solo rappresentino i tre pilastri di una comunità sana ma che la sopravvivenza di uno dipenda dal praticare dell’altro. Muoviamoci per piccoli passi; partiamo dalla democrazia. La democrazia vive nella propria felice ambiguità e noi spesso non possiamo che farcela piacere, anche quando non ci convincono soluzioni, decisioni, strategie, risultati, persone. Si, perché la possibilità per il popolo di “ scegliere” non sempre ha conciso con la scelta “giusta”. La sua bellezza e la sua dannazione sono tutte qua, in questa natura a specchio: quando la maggioranza sceglie, le conseguenze sono per tutti. E sono la forma e il destino di un’intera collettività, forgiata a immagine e somiglianza di chi ha deciso; il popolo ha spesso scelto male, e questo va ammesso, agendo spesso di pancia, d’istinto, senza capire, senza sapere; o ancora nel compromesso, nella clientela, nell’imbroglio, nella corruzione; o magari nella schiavitù, nel bisogno, nella fame; o nell’ingenua speranza d’indovinare, semplicemente.
Sbagliare è umano. Capita di scegliere qualcosa o qualcuno che si rivelerà nefasto, inopportuno, inutile, letale. Ma ci sono errori che non arrivano dal caso e che tradiscono, semmai, mancanze strutturali. Scelte in cui c’è il dolo reiterato – gli italiani ne sanno qualcosa: tutti contro la casta dei politici furfanti, ma si tira dritto quando è ora della raccomandazione, della casa abusiva, del concorso truccato, del furto al socio, al collega, allo Stato – oppure scelte che vivono di incoscienza, di disinformazione, di inconsapevolezza, di superficialità, di pochi strumenti culturali, di debolezza intellettuale, di pigrizia mentale. Ed è quei che arriviamo alla Cultura.
Ammetterlo non è né snob né classista ma è ribadire che un voto è un atto di responsabilità; e che chiedere attenzione, cura, occhi e orecchie spalancati, profondità di analisi e autonomia di pensiero, non è uno scandalo, non è un insulto al popolo, non è uno sputo sulla democrazia. È un invito. Un monito. Una preghiera a sé stessi e a chi governa. È un accento fissato bene in capo a una questione nodale ovvero: la cultura rende liberi. L’avremo sentito dire mille volte e l’avremo ripetuto altrettante, quando c’era da lamentarsi per i fondi troppo esigui destinati al capitolo Beni Culturali o Scuola. E poi, però, ce ne dimentichiamo se la faccenda riguarda il senso e il destino della democrazia. Ma cosa significa essere liberi grazie alla cultura? Che solo chi ha una laurea in tasca e ha letto un numero minimo di libri dovrebbe essere autorizzato a votare? Certo che no. In fondo la democrazia, e non l’oligarchia, resta la forma di governo migliore che l’uomo abbia mai sperimentato. Nonostante la sua imperfezione cronica, la sua incompiutezza organica, la sua natura utopica.
Ma ricordarsi di quella libertà che è sorella della conoscenza – come già capirono Voltaire e Montesquieu – è solo uno sprone. E non c’entrano titoli di studio e quiz attitudinali. È un fatto di mente aperta, affilata, indipendente; di animo sgombro da pregiudizi e da paure; di strumenti di analisi e di lettura; di accesso all’informazione e di sua rielaborazione; di capacità di comprendere un testo, di onestà intellettuale, di fame di verità. Un popolo colto è, in sostanza, un popolo consapevole. E cambia, per ognuno, la quantità e la qualità di libri, di incontri, di modelli familiari, di viaggi, di esperienze, di occasioni, che sono necessari per avvicinarsi a quell’idea di libertà. La scolarizzazione è imprescindibile; ma i percorsi sono soggettivi. Per questo la cultura non si misura e l’accesso al voto non si può far dipendere dalla compilazione di un test. Tutti hanno il diritto di votare. Ma tutti hanno il diritto e il dovere di evolversi, di lavorare su stessi, di non accontentarsi, di prendere coscienza delle cose.
Il punto è chiedere a gran voce investimenti e spingere perché il capitolo “cultura” non sia un optional – per governi, partiti, cittadini – ma una priorità.
Qualcuno, tra coloro che si indignano per le critiche alla democrazia diretta, se la sente di negare che fascismi, nazismi, populismi, razzismi, mafie, fanatismi si insinuano meglio e di più laddove una società è debole? Debole economicamente – dunque ricattabile – e debole culturalmente – dunque manovrabile. Qualcuno può forse negare che la cultura come consapevolezza è una forma di affrancamento dall’inganno, dal ricatto, dall’abuso, dal plagio?
Ecco la questione. Se la maggioranza vota non con cognizione di causa, ma perché sedotta da chi – i media? il potere? – ha fatto leva sull’ignoranza, sul disagio, sull’emotività, sui pregiudizi facili, sarà o no, quel voto, un gesto poco libero?
E’ qui lo snodo, rendere la cultura inclusiva formerà ragazzi e adulti liberi che non solo sceglieranno in maniera autonoma e critica ma potranno partecipare alla vita politica in forma attiva e partecipata.
Fonte: Helga Marsala