GEOPOLITICA

La crisi della democrazia: storia e ragioni di un processo contemporaneo

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La seconda metà del XX secolo è stata caratterizzata da una serie di successi della democrazia a livello globale che ha contribuito alla diffusione di un’ampia legittimazione del sistema democratico come forma di governo dominante: in primis la caduta del regime dittatoriale della Germania nazista e la fine delle dittature in Italia, Spagna, Grecia, ma anche il consolidamento delle democrazie nell’Europa meridionale e in America Latina, la diffusione di regimi democratici nell’Europa orientale alla fine degli anni ’80 in seguito alla caduta del muro di Berlino, la democratizzazione dello stato più popoloso del mondo, l’India, e altri casi specifici come il Sud Africa, la Corea del Sud e Taiwan. La fine del colonialismo europeo e l’inizio di un nuovo ordine geopolitico internazionale, sempre più scandito dagli altalenanti equilibri della Guerra Fredda, hanno determinato la diffusione della democrazia al di fuori dei confini occidentali.

Tuttavia, dopo i successi del secolo precedente, nel XXI secolo lo stato di salute della democrazia a livello globale è entrato in crisi. A partire dal 2005, non solo sono nate meno democrazie, ma alcune di quelle già esistenti hanno visto diminuire la qualità delle garanzie e i diritti dei loro cittadini, pur mantenendo formalmente un’apparenza democratica. Secondo Freedom House, negli ultimi 15 anni i paesi con un calo nell’indice di libertà hanno costantemente superato quelli con un rialzo. In questa tendenza negativa, il 2020 costituisce l’annus horribilis, con la percentuale di paesi non liberi che ha raggiunto il numero più alto degli ultimi 15 anni (82 contro gli 89 del 2005) e il numero di paesi considerati “non liberi” che ha toccato i suoi massimi livelli (54 paesi contro i 45 del 2005). Infine, con il declassamento dell’India a regime “parzialmente libero”, ossia non pienamente democratico, ad oggi meno del 20 percento della popolazione mondiale vive in un paese libero, la percentuale più esigua dal 1995.

È interessante notare come questa crisi dei sistemi democratici abbia colpito non solo le democrazie più recenti, ma anche i più solidi e longevi regimi democratici occidentali, dove la democrazia ha iniziato ad essere sempre più associata a fallimenti economici, inefficienze interne, prepotenze in politica estera e, da ultimo, incapacità gestionali in tempi di crisi come quella pandemica.

IL SOGNO DI DEMOCRATIZZAZIONE E IL FALLIMENTO DELL’ESPORTAZIONE DEI SISTEMI DEMOCRATICI

L’idea di estendere la democrazia come sistema di governo dominante a livello globale, nata dapprima all’interno dei giochi di potere della Guerra Fredda per il dominio regionale e perpetuata poi come strumento di influenza nel nuovo scacchiere multipolare delle relazioni internazionali, ha mostrato i suoi limiti sin dall’inizio del XXI secolo. In particolare, tre grandi insuccessi hanno contribuito a palesare i limiti del progetto di “esportazione” della democrazia. Il primo grande insuccesso è stata la Russia. Dopo le speranze di democratizzazione in seguito alla caduta dell’Unione Sovietica, la moderna Russia si è infatti progressivamente ricostituita in un regime neo-zarista sotto la guida ultra decennale di Vladimir Putin. Non dissimili per risultato sono stati gli sviluppi in Venezuela, Ucraina, Argentina e, più recentemente, Bielorussia. Il secondo storico fallimento del tentativo di esportazione della democrazia è stato l’Iraq, dove una guerra legittimata dalla promozione dei valori democratici ha contrariamente dimostrato che la democrazia può essere utilizzata come strumento per le ambizioni neo-imperialiste di paesi terzi e che, in determinati contesti, l’imposizione forzosa dei sistemi democratici genera solo instabilità. Inutile sottolineare come questa percezione sia stata recentemente rafforzata dal fallimentare epilogo della presenza statunitense e NATO in Afghanistan, con la repentina caduta dell’ex governo afghano e la costituzione di un emirato islamico dopo vent’anni di presenza territoriale da parte delle forze alleate. Infine, il terzo fallimento del sogno di democratizzazione globale è stato l’Egitto, con i catastrofici sviluppi che hanno fatto seguito alla deposizione di Mubarak e la formazione di un nuovo regime autoritario. Insieme alla guerra in Siria e alla perpetua instabilità libica, il fallimento del progetto democratico in Egitto ha infatti segnato il punto d’arrivo per i tentativi di democratizzazione dei paesi del Nord Africa e Vicino Oriente, tra cui solo la Tunisia sopravvive, non senza difficoltà, quale modello “virtuoso”.

Ciascuno di questi casi ha dimostrato che il progetto delle potenze occidentali di esportare la democrazia, intesa come unica possibile forma di governo e replicabile attraverso un solo possibile meccanismo politico-culturale, ossia quello occidentale, è non solo un’ambizione che ignora le specificità delle strutture sociali, politiche e culturali locali, ma anche che non ricerca alcuna sintesi o consenso nei contesti regionali e nazionali ed è dunque destinata al fallimento.

L’idea che la democrazia abbia una sola forma e un solo possibile meccanismo di implementazione è smentita non solo dai fallimentari tentativi di trapiantarla in contesti diversi con un approccio dai tratti neo-coloniali, ma è resa ancor più inconsistente dalle recenti e attuali trasformazioni che anche le più longeve democrazie europee stanno attraversando.

LA CRISI FINANZIARIA DEL 2007-2008 E LE FRAGILITÀ DEMOCRATICHE

La crisi economico-finanziaria del 2007-2008 ha palesato le debolezze dei sistemi politici occidentali, minando la loro credibilità storica non solo agli occhi dei propri cittadini, ma anche a quelli della comunità internazionale. Per la prima volta in oltre mezzo secolo, le democrazie occidentali si sono rivelate fragili e indegne di fiducia. Progressivamente, il cosiddetto “populismo” è entrato a far parte del vocabolario quotidiano della politica nazionale di molti paesi europei, dando il via ad un fenomeno di cruciale importanza, capace di influenzare profondamente la competizione elettorale e il funzionamento dei regimi politici democratici.

Ad aver pagato il conto più salato sono stati proprio i paesi con situazioni economiche già deboli. In ambito europeo, a risentire maggiormente delle conseguenze politiche della crisi finanziaria del 2007-2008 sono stati i paesi dell’Europa meridionale come Portogallo, Spagna, Italia e Grecia. La crisi che tra il 2008 e il 2015 ha attanagliato le economie di questi paesi non ha influito solo sulla loro sfera economica, ma ha coinvolto anche le strutture politiche e le dimensioni di partecipazione e competizione che contrassegnano i regimi democratici. In Grecia e in Spagna, si è assistito a proteste sociali e manifestazioni non convenzionali e a una successiva istituzionalizzazione di tali movimenti nei partiti di Syriza e Podemos; in Italia, un simile processo ha caratterizzato la nascita dell’allora “non-partito” Movimento Cinque Stelle.

La crisi economico-finanziaria iniziata nel 2007 ha dunque inaugurato una vera e propria nuova stagione per lo stato della democrazia a livello globale, dando slancio alla progressiva emergenza della Cina non solo come nuova prima economia mondiale, ma anche come modello di governance alternativo. Tale sorpasso, non solo economico ma anche politico, è destinato a modificare profondamente gli scenari geo-politici nei decenni a venire.

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