I Rom (dal romanes, “uomo”) sono un popolo storicamente vittima di etichette, cliché, pregiudizi.
L’ostracismo e le persecuzioni subite ne hanno segnato la storia, gli usi e i costumi; una storia sconosciuta ai più, come solitamente è per i popoli senza uno stato.
I Rom sono una popolazione che viveva nella zona del delta dell’Indo, tra India e Pakistan e parlava una forma volgare di sanscrito. In seguito a guerre e carestie, dal 1000 d.C. iniziò un esodo che li portò a diffondersi in molti stati europei, a partire dai paesi balcanici. Fra il XIV e il XV secolo cominciarono a giungere nei paesi occidentali, spesso fingendosi componenti di famiglie facoltose egiziane. Da qui la nascita dei termini “gitani” e “gipsy”.
Uniti da forti vincoli familiari e comunitari, i rom svolgevano soprattutto lavori artigianali e commerciali e molti gruppi continuarono a praticare il nomadismo per questioni di occupazione e sopravvivenza, oltre che per sfuggire alle persecuzioni.
Queste popolazioni, infatti, per i loro usi e costumi così differenti, per le credenze che si vennero a creare, come quelle sulla stregoneria, furono perseguitate in molti dei territori in cui si stabilirono. Le violenze ebbero, notoriamente, il culmine nel corso della Seconda guerra mondiale, con la segregazione e lo sterminio di 500 mila persone nei campi di concentramento nazisti; anche l’Italia, sotto il regime fascista, prese parte alla loro persecuzione.
Attualmente nel mondo vivono 16 milioni di Rom, di cui circa 12 milioni in Europa. Questi sono essenzialmente divisi in cinque principali comunità, con i successivi sottogruppi, e parlano dialetti della stessa lingua, il Romanì.
In Italia i Rom sono circa 180 mila, di cui 100 mila dagli antichi insediamenti del XV secolo. I restanti sono arrivati principalmente a seguito delle migrazioni a cavallo delle due guerre e dopo il crollo dei regimi socialisti. Nel nord troviamo i Sinti, mentre al centro-sud sono concentrati i Rom italiani.
In Italia la convivenza con i Rom è tutt’ora resa difficile da un approccio politico-sociale errato che ha contribuito a generare una diffidenza culturale diffusa che sfocia nel pregiudizio, nella stigmatizzazione, fino alla xenofobia.
All’origine di molti problemi ci sono i cosiddetti “campi nomadi”, zone create appositamente per concentrare comunità confluenti in un territorio, in attesa della loro ripartenza. In realtà, veri e propri ghetti moderni, per nulla temporanei, che sono andati ad accrescere le difficoltà delle comunità acuendo il disagio, la povertà, l’emarginazione.
La verità, però, non è quella che emerge dalle cronache giornalistiche, né dagli strali dei politici. Anzitutto, l’80% dei Rom presenti in Italia sono cittadini italiani. I campi Rom accolgono solo una minima parte della popolazione, 26mila persone. Gli altri vivono in normali abitazioni e svolgono spesso lavori diversi da quelli tradizionali. Proprio la crisi dei lavori svolti storicamente dai Rom li ha portati a cercare nuove occupazioni, con il conseguente stanziamento dei nuclei familiari.
La situazione in Italia sembra sostanzialmente ferma, bloccata da un diffuso sentimento anti-Rom, spesso aizzato mediaticamente, che una politica sempre più di corto respiro preferisce assecondare, o quantomeno ignorare, piuttosto che contrastare. Eppure, molti paesi europei hanno adottato misure rivelatesi efficaci per il loro inserimento.
La storia dei Rom è quella di un popolo senza uno stato, condannato al nomadismo e alla persecuzione ma stretto da cultura e tradizioni ancestrali. Una cultura tanto dileggiata ma che, nei secoli, ha dato molto alla musica, alla letteratura, al cinema, alla pittura occidentali. Un popolo che merita più conoscenza, rispetto e, soprattutto, la “possibilità di farcela”.