L’attuale situazione pandemica ci ha dato l’ennesima dimostrazione del fatto che la nostra dominanza sulla natura è una mera illusione: la diffusione del virus e i suoi effetti devastanti ci fanno capire che è innanzitutto nel nostro interesse prendere atto di questa visione sistemica e dell’interdipendenza uomo-natura. In questa settimana dedicata alle vittime di tortura ci interessa analizzare il rapporto interconnesso tra contesti naturali e urbani e l’incidenza di atteggiamenti devianti come criminalità, violenza e tortura. La tortura è un tema discusso in sociologia, nonostante la segretezza e l’invisibilità sociale che circondano la sua pratica rendano impossibili le analisi quantitative e, di sicuro, non agevolino l’indagine qualitativa; non è pensabile, ad esempio, l’osservazione partecipante e si rivelano assai problematiche, seppur possibili, le interviste con torturati e torturatori. Ma la sociologia è anche quella scienza che, con i suoi metodi di osservazione e analisi, riesce ad accostare le riflessioni degli altri campi scientifici in modo nuovo e diverso (Simmel 1989) e, di conseguenza, è in grado di fornire la propria originale prospettiva anche sulla tortura.

Per darci una mano in questa analisi ci affideremo, infatti, alle teorie sulla devianza della scuola di Chicago e all’ecologia urbana e sociale! Oggetto di studio dell’ecologia urbana e sociale è l’interazione – costante e imprescindibile – tra il comportamento umano e i grandi ambienti urbani, ovvero quelli ad alta densità di popolazione. La trasformazione dell’uno in funzione degli altri – e viceversa – è continua e rimane all’interno di un unico processo circolare. Ci sono quindi comportamenti, attività, abitudini e costumi che cambiano tali luoghi, generando nuovi stimoli, ma all’interno di una continua e reciproca variazione è vero anche il contrario, ossia che il luogo fisico, naturale e urbano in cui siamo inseriti varia le nostre scelte e le nostre possibilità. In tale riflessione, quindi, gli ambienti urbani e i gruppi sociali che li abitano, le tecniche di produzione, gli strumenti materiali ed ideali, le tecnologie, le mode, la diffusione di modelli di comportamento, hanno tutti pari dignità e sono concepiti come componenti di un sistema, di fatto, inscindibile.
Se come visto nel nostro articolo di ieri il contesto sociale e il ruolo che in esso si svolge mutano il nostro atteggiamento, in questo caso il focus della variazione è proprio l’ambiente circostante. Prima promotrice di questa teoria fu la Scuola di Chicago, che studiava e studia la città attraverso importanti ricerche empiriche su base statistica, social surveys, ma introduce anche un approccio «ecologico» nell’analisi del fenomeno urbano, secondo il quale la nascita, lo sviluppo e l’organizzazione sociale della città possono essere studiati secondo modelli di interazione fra gli individui e l’ambiente fisico, in cui la disposizione dei luoghi si intreccia con quella della popolazione.

Dando un’occhiata ai dati statistici, infatti, non possiamo che essere d’accordo con quanto affermato sino ad ora. Secondo l’Istat il 56% dei casi di violenza si è consumato in un ambiente degradato; il 49% delle chiamate alle stazioni di polizia e affini per segnalare situazioni di scarsa sicurezza sono pervenute da ambienti e contesti di degrado urbano; il tasso di criminalità è del +67% in zone in cui anche tutte le altre norme non vengono rispettate! Cartacce e bottiglie gettate per terra, muri imbrattati, vicoli maleodoranti, panchine rotte in spazi verdi incolti.Scene di degrado di questo tipo sono esperienze, purtroppo, quotidiane in alcune città. A volte non ci si fa più caso ma, per la maggior parte delle persone percorrere luoghi sporchi e deteriorati provoca un senso di incertezza e alimenta la paura di essere più esposti ad atti criminali. Una situazione di disordine sociale e degrado ambientale può, quindi, generare in una comunità insicurezza e paura diventando sempre meno coesa e poco radicata al quartiere, determinando un peggioramento della qualità della vita e un aumento dei reati.
L’aspetto interessante di questo studio, spesso poco evidenziato, è che non sono tanto i segni di inciviltà in sé a generare insicurezza e poi paura, ma il tempo che passa prima che tale segnale di degrado venga riparato. Il cestino incendiato, l’insegna divelta, il sottopasso sporco su cui non si interviene tempestivamente e che rimangono così per mesi o anni possono creare un effetto contagioso propagando disordine, insicurezza e paura a macchia d’olio, una spirale verso il basso.
Questo non costruisce un filo diretto tra casi di tortura e rispetto per l’ambiente ma ci fa intuire come la costruzione di ambienti puliti, inclusivi, con norme chiare e rispettate da tutti gli attori del contesto possa aiutarci a distanziarci da atteggiamenti devianti e violenti; un contesto di opportunità, pulito e paritario, più che di criminalità e poco controllo può generare e costruire il mondo di domani.