ECONOMIA

Migrazione: facciamo i “conti” con i luoghi comuni.

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Ci sono piaceri ai quali difficilmente noi italiani sappiamo rinunciare: uno tra i primi, i caffè al mattino al nostro bar di fiducia; e si sa, i bar sono nella nostra accezione culturale un luogo d’incontro e condivisione, l’opportunità per scambiare due chiacchiere e confrontarsi su tematiche varie che vanno dal risultato dell’ultima partita, alla campagna vaccinale, alle ultime novità in campo economico e sociale! A volte un’occasione unica di dialogo altre, ahimè, un rimbalzo stereotipato di opinioni che nel passaggio di bocca in bocca si farciscono di dettagli errati e poco documentati: il fenomeno migratorio ne è un esempio chiaro.

“Ogni occasione è buona per prendersela con i migranti”: sono le parole con cui Oliviero Forti, responsabile immigrazione della Caritas, ha commentato le polemiche scoppiate quando alcuni politici e giornali hanno sfruttato alcuni eventi drammatici per contrapporre i rifugiati agli sfollati italiani. Per fomentare questa guerra tra poveri si sono usati tutti gli argomenti consueti: il Governo privilegia gli stranieri, li accoglie in hotel di lusso; si è parlato persino di “finti profughi” con smartphone di ultima generazione.

E oggi, per parlare con voi di economia, abbiamo selezionato alcune delle affermazioni più frequenti per provare a smentire i pregiudizi da Bar e fare i conti in tasca al nostro Stato.

1. Un’accoglienza a cinque stelle

Una bufala è dura a morire, soprattutto nella piazza virtuale di internet. Ancora poche settimane fa social network e giornali hanno rilanciato i soliti slogan sui “clandestini ospitati in alberghi di lusso.

Sono molti i giornalisti che si sono impegnati per smentire la favola della accoglienza in prima classe (un esempio particolarmente interessante è quello del Post); è vero che alcune volte i rifugiati sono ospitati in alberghi e pensioni, ma si tratta di situazioni eccezionali e non certo lussuose.

Quando i posti Sprar non sono sufficienti (com’è accaduto sistematicamente negli ultimi anni), entra in gioco il sistema di accoglienza straordinaria (Cas). Sono valutate tutte le offerte di posti letto, anche quelle che provengono da cooperative, albergatori o soggetti privati. E dato che questa accoglienza deve costare non più di 35 euro al giorno per persona, si può facilmente capire che le sistemazioni offerte non prevedono sauna e servizio in camera. Potrà trattarsi di hotel dignitosi, ma non lussuosi.

Va ancora sottolineato che l’accoglienza nei Cas lascia insoddisfatti gli stessi esperti del settore. In primis perché, come sottolinea in una intervista telefonica Daniela Di Capua, direttrice del servizio centrale Sprar, si tratta di soluzioni che nascono come temporanee e tali non sono; in secondo luogo, perché la mancanza di un coordinamento centrale rende la qualità dei servizi offerti molto variabile, per cui la reale accoglienza e l’integrazione dei rifugiati cambieranno significativamente in dipendenza delle strutture nei quali saranno ospitati.

2. L’indennità di 35 euro al giorno

Gli annali della disinformazione annoverano diversi tentativi di attribuire ai migranti un potere straordinario: la capacità di percepire uno stipendio di 35 euro al giorno, più vitto e alloggio, senza svolgere alcun lavoro.

La leggenda nasce dalla cifra che il ministero dell’Interno ha calcolato come spesa media quotidiana dell’accoglienza, relativamente a migranti adulti. Come si diceva, il sistema Sprar è finanziato al 95% dal ministero, che attinge le risorse dal Fondo Nazionale per le Politiche e i Servizi dell’asilo, devolvendo agli enti locali (e non ai rifugiati) delle somme in base alla stima che, per accogliere un migrante adulto, servano circa 35 euro al giorno (45 per i minori).

La stessa cifra si ritrova nei bandi indetti per reperire posti Cas: le prefetture offrono la cifra massima di 35 euro a persona al giorno, riservandosi di aggiudicare i bandi col criterio del massimo ribasso (a parità del servizio, vince chi spende meno). Ma come sono spesi i 35 euro al giorno? Un esempio di bando offre indicazioni precise: servizi di ingresso (identificazione); servizi di pulizia personale e dell’ambiente; erogazione di pasti; fornitura di beni di prima necessità (lenzuola, vestiti ecc.); servizi di mediazione linguistica e culturale.  Ai richiedenti protezione internazionale spetta il solo pocket money, ovvero 2,50 euro al giorno fino al un massimo di 7,50 euro a nucleo familiare, e una singola ricarica telefonica di 15 euro all’arrivo.

3. Cellulare e wifi: guarda che pretese!

Genera ancora stupore (e non poche polemiche) il fatto che molti migranti e rifugiati dispongano di un cellulare: il possesso di uno smartphone sarebbe la prova che non si tratta di persone povere, quindi perché dovremmo pagare la loro accoglienza? Tanto più che passano ore assembrati, attaccati ad internet o a parlare al telefono. Per sgombrare la mente da  pregiudizi, basta riandare alla nostra esperienza quotidiana, alle decine di chiamate che facciamo per dire “sono arrivato”. I migranti e rifugiati percorrono rotte pericolose e lunghissime: a volte lasciano dietro di sé parenti, altre volte attraversano mari e deserti per raggiungere qualcuno che li aspetta in Europa. Il cellulare è quindi indispensabile per comunicare con la famiglia. Non solo: grazie allo smartphone, i migranti scambiano informazioni “di servizio” legate al viaggio e ai possibili rischi. A questo proposito, qualche mese fa uno studio condotto da Open University ha evidenziato l’importanza della tecnologia e dell’uso dei social nei viaggi dei migranti, sottolineando che la mancanza di informazioni li spinge ad affidarsi a soluzioni illegali e pericolose.

4. Rubano il nostro lavoro

 Eppure, tutti i principali studi scientifici in materia, confermano un quadro diverso da quello che viene presentato nel dibattito pubblico. In primo luogo, i migranti si concentrano spesso e quasi unicamente in mestieri e settori professionali diversi da quelli ambiti e occupati dai lavoratori dei Paesi d’origine. Incrociando infatti i dati tra i lavori svolti dai migranti e dagli autoctoni si colgono spesso dinamiche di complementarietà e non di sostituzione, caso valido anche in Italia come recentemente sottolineato dall’INPS che analizza questi numeri. I tassi di occupazione stessi indicano come, pur trovando lavoro, i migranti fanno più fatica degli italiani. Secondo un recente rapporto OCSE  il tasso di occupazione dei lavoratori stranieri è di 2,5% inferiore a quello, già basso, italiano, numero che scende al 10% in meno nella fascia tra i 15 e i 29 anni. Si aggiunga che nell’ultimo semestre l’Istat ha rilevato un calo del numero degli inattivi tra la forza lavoro italiana e una crescita invece in quella straniera e l’aumento del tasso di occupazione se è stato dell’1,5% per gli italiani è stato dello 0,3% per gli stranieri. In secondo luogo uno studio interessante ha provato a calcolare le condizioni dei mercati del lavoro in diversi paesi nel 2025 se non vi fossero fenomeni migratori. I risultati parlano da soli, in Italia a causa dell’invecchiamento della popolazione mancherebbero 3,5 milioni di lavoratori sotto i 45 anni. Questo mostra chiaramente come spesso sia proprio il calo demografico delle società occidentali, l’innalzarsi dell’età media e contemporaneamente la richiesta di più beni e soprattutto di più servizi a elevare la domanda di lavoro che solo una buona dose di stranieri può saziare. Non per nulla un numero elevato di lavoratori immigrati sono oggi occupati nei servizi alla persona, ossia si occupano proprio di quel grande numero di anziani inattivi che contribuisce a renderli indispensabili per il nostro sistema socio-economico e per la sostenibilità dei sistemi di welfare pubblico.

A dimostrazione dei benefici dell’accoglienza per le piccole comunità c’è il caso di Riace, comune della Calabria che alla metà degli anni Novanta ha cominciato a risentire gli effetti di un pesante spopolamento.

La massiccia accoglienza di profughi praticata dal tre volte sindaco Domenico Lucano ha consentito non solo di ripopolare, ma anche di far rivivere il paese, tanto da diventare un modello di integrazione e rilancio. Sulla scia di Riace, diversi comuni della Calabria hanno deciso di partecipare ai bandi Sprar per l’accoglienza ordinaria: Gioiosa, Africo, Camini e altri piccoli centri spopolati rivivono grazie all’apporto dei rifugiati, e hanno adottato una moneta complementare per il pagamento del pocket money.

Questo ci dimostra come l’accoglienza vada oltre i “conti” e i luoghi comuni di un dibattito pubblico viziato dalla necessità di creare il mito “dell’uomo nero” per dare una motivazione alla paura del nuovo, del diverso e del complementare. Accogliere per capire, accogliere per poter offrire una prospettiva migliore ad ospiti e ospitati, accogliere perché non si smette mai di credere negli “esseri umani”.

Fonte dati: UNHCR Italia.

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