Iqbal, Zorah, Gloria, Said, Imed, Luana: cosa hanno in comune? Il fatto di non aver vissuto un’infanzia “comune”. Le loro storie partono tutte dallo stesso punto: estrema povertà, necessità di dover abbandonare il luogo di origine, catastrofi ambientali che hanno distrutto tutto ciò che possedevano e necessità di dover lavorare per portare avanti le proprie sorti e quelle dei propri familiari.
Oggi, a pochi giorni dalla giornata mondiale contro lo sfruttamento del lavoro minorile, ciò che ci interessa tracciare, partendo dai dati, è il filo conduttore che unisce e mette in rapporto le disastrose evidenze del cambiamento climatico e le tragiche conseguenze del lavoro minorile.
Esiste una relazione sempre più stretta, seppure non sempre evidente, tra l’estremizzarsi dei cambiamenti climatici e l’aumento dello sfruttamento lavorativo minorile. Questo è ciò che emerge in particolar modo dalla relazione di Terre des Hommes intitolata The neglected link – effects of climate change and environmental degradation on child labour (Il legame dimenticato – effetti dei cambiamenti climatici e del degrado ambientale sul lavoro minorile).
Terre des Hommes è una Federazione internazionale costituita da 11 organizzazioni nazionali, il cui obiettivo sociale è esattamente quello di impegnarsi nella difesa dei diritti dei bambini e nella promozione di uno sviluppo socio-economico equo, senza discriminazioni alcune.

Attraverso questo rapporto, pubblicato nel 2017, l’organizzazione ha tentato di richiamare l’attenzione sul tema dello sfruttamento minorile, scegliendo di approfondire, mediante 5 casi di studio, il nesso troppo spesso trascurato tra i cambiamenti climatici e la necessità, per le popolazioni che ne sono vittime, di ricorrere al lavoro dei minorenni per far fronte a situazioni di emergenza umanitaria e povertà estrema.
Risulta infatti che un numero orientativamente prossimo al mezzo miliardo di bambini viva in aree colpite da continue inondazioni, mentre circa altri 160 milioni di minori sopravvivano in zone colpite da siccità elevata o estrema. La loro qualità di vita e spesso la loro sopravvivenza dipendono dalle mutazioni climatiche che, colpendo soprattutto l’economia agraria e rurale, riducono in povertà innumerevoli famiglie, costringendole alla migrazione, stagionale o definitiva, verso le aree urbane.
È proprio questo tipo di migrazione a ricoprire il ruolo di leva principale nell’instradamento al lavoro dei minori, che si ritrovano costretti a contribuire ai bisogni di una famiglia sradicata dal proprio luogo di origine, spesso sommersa dai debiti contratti per ottenere miseri alloggi e costantemente vittima dell’emarginazione sociale, mettendo molte volte a rischio la propria salute in lavori massacranti ed estremamente sottopagati.
Il dossier di TdH presenta, come detto, 5 casi studio sul lavoro minorile effettuati in Paesi soggetti a fenomeni climatici estremi: Burkina Faso, India, Nepal, Nicaragua e Perù. Tutte nazioni inserite nel riconosciuto Global Climate Risk Index elaborato da Germanwatch.

Lo studio porta alla luce alcune evidenze, ad esempio: quanto i bambini migranti siano sempre più costretti a forme di lavoro pericolose, perché le loro famiglie fuggono da zone sottoposte a un forte stress ambientale. Come riportato dall’inchiesta infatti, nello stato di Odhisa, a causa dei cambiamenti climatici, la durata della migrazione stagionale si è estesa da tre a sei mesi costringendo circa 92.000 bambini a lavorare come braccianti e operai non specializzati nelle cave e nelle fabbriche di cemento e di mattoni. Dall’altra parte del mondo, in questo caso in Perù, invece, i piccoli agricoltori locali non sono attrezzati per reagire alle perdite di reddito causate dai cambiamenti climatici, per questo finiscono per passare a strategie di adattamento come la migrazione verso le aree urbane e il ricorso al lavoro minorile. Questo fenomeno è molto diffuso: in media il 50% dei minori dai 14 ai 17 anni lavora, nelle aree rurali l’80% e nelle città il 32%. Nelle Ande e in Amazzonia il 68% degli adolescenti lavora nell’agricoltura. L’enorme espansione delle aree metropolitane ha fatto schizzare la richiesta di mattoni, alla cui fabbricazione artigianale lavorano decine di migliaia di famiglie, bambini compresi.
L’importanza di questo studio sta nell’aver reso chiara e lampante, per la lotta al tema del lavoro minorile, la necessità di tenere in considerazione gli effetti dei mutamenti climatici sulle popolazioni e nell’aver contribuito a tracciare il solco lungo il quale far evolvere l’azione politica della comunità internazionale.
I bambini devono essere al centro delle strategie internazionali e nazionali per la mitigazione dei cambiamenti climatici e beneficiare di parte dei fondi ad esse destinati. È di vitale importanza cominciare a includere i fattori ambientali come cause potenziali dello sfruttamento dei minori e organizzare di conseguenza dei programmi di prevenzione più incisivi, anche grazie a una più stretta collaborazione tra chi si occupa di tematiche ambientali e chi invece di diritti dei minori.
Per porre un argine a questo fenomeno, che ad oggi costringe approssimativamente 80 milioni di ragazzi e bambini a mettere a rischio la propria incolumità ogni giorno, occorre avere un quadro complessivo di tutte le cause e di tutti gli effetti annessi al suddetto, così da poter finalmente intraprendere un percorso in grado di restituire i diritti e le prerogative dell’infanzia a quei tanti bambini che nel mondo ne sono stati privati.