GEOPOLITICA

Qui Italia: quale ruolo nello scenario Internazionale?

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Quando si parla della politica estera italiana e del ruolo del nostro Paese nel Mediterraneo, si tende sempre erroneamente ad esaltare o a rendere quasi nulla la sua importanza strategica.

Nel mondo attuale, che non è più quello bipolare in cui era molto più facile poter avere dei ruoli strategici stando al di qua o di là della cortina di ferro, i ruoli dei vari Paesi si scontrano molto spesso anche con quelli dei propri partner a livello internazionale, come nel caso dell’Unione Europea; è proprio per questo opportuno capire che l’Italia, ad oggi, svolge un ruolo in tre stadi diversi, che potremmo considerare ognuno come vincolante per l’altro: Unione Europea, NATO e Mediterraneo. 

La politica estera italiana nella concettualizzazione del Mediterraneo la riconosce come la principale area di suo interesso, perché rappresenta una piattaforma di connettività economica, energetica ed anche infrastrutturale in grado di collegare Europa, Nord-Africa ed Asia. Proprio il Nord-africa rappresenta un punto cruciale per il nostro Paese. Dopo lo scoppio della guerra civile in Libia, la morte di Gheddafi e l’aumento dell’influenza turca nell’area, il ruolo italiano sembra aver perso sempre più forza in un’area storicamente e culturalmente vicina al nostro Paese. Del resto, a dispetto dell’esistenza dell’Unione Araba del Maghreb – una sorta di mercato comune del Nord Africa – i maggiori partner commerciali della Libia appartengono all’UE (Italia, Germania, Spagna, Francia e Regno Unito), che pure in passato avevano accusato la Libia di finanziare il terrorismo. Questo soprattutto in nome di interessi comuni e coincidenti su alcuni temi particolarmente importanti per la politica di difesa e sicurezza di entrambi, quali la necessità di lottare contro il terrorismo e la proliferazione di armi di distruzione di massa e di affrontare il problema dell’approvvigionamento energetico nel Mediterraneo. Anche Turchia e Giordania, da sempre vicini politicamente all’Occidente, hanno avviato una sorta di new-deal nei rapporti con Tripoli, con cui hanno concluso una serie di accordi di cooperazione nella lotta contro un nemico comune, il terrorismo, islamico e non. Tra Italia e Libia esiste un rapporto speciale, in cui entrano elementi storico-culturali, geopolitici ed economici: superando il passato, si potrà sviluppare un rapporto nuovo di buon vicinato potenzialmente vantaggioso per entrambi, che accresca la vocazione di ponte tra l’Europa e l’Africa che li caratterizza. Ma soprattutto incidono una serie di comuni valutazioni strategiche in quelle aree in cui si concretizza l’interesse nazionale di ambo i Paesi, Mediterraneo e Africa Sub-Sahariana in particolare.

Il nostro Paese, tuttavia, a partire dal 2010 ha perso completamente il cardine di quella che era stata fino ad allora la sua politica estera, basata da accordi di vicinato che potessero garantire convenienze sotto diversi punti di vista. I conflitti nel Mediterraneo sono divenuti multidimensionali, in quanto riguardano questioni locali in cui intervengono attori esterni e soggetti statali, implicando interessi delle potenze globali. 

Negli ultimi anni anche il Sahel è divenuto una priorità dell’Italia, in virtù della sua importanza geostrategica situata a cavallo tra l’Africa subsahariana e l’area a noi nota come euro-mediterranea. Dai primi mesi del 2020, infatti, l’italia sta partecipando con un proprio contingente nella task-force Takuba per la lotta al terrorismo; in questo contesto l’Italia è un partners tradizionale dei Paesi della regione sul piano dell’assistenza umanitaria, dello sviluppo sostenibile e della gestione del fenomeno migratorio.  Tuttavia l’Italia, solo con le sue forze e le sue direttrici di politica estera, non è in grado di sostenere e spingere per uno sviluppo economico e sociale dell’Africa; ciò è possibile soltanto attraverso una cooperazione internazionale o europea, di cui l’Italia può essere leader nel Continente africano; inoltre l’intervento della Banca Europea per la ricostruzione e lo sviluppo dell’Africa sub-sahariana attraverso il rafforzamento delle dotazioni di capitale della BEI (banca europea degli investimenti) e della Banca Africana di sviluppo, sarebbero di estremo aiuto. 

Nella nostra analisi, infine, non possono mancare anche altre due direttrici fondamentali della politica estera italiana: una verso i Balcani ed un’altra che si spinge verso l’Asia, ovvero il rapporto con la Cina. 

Il continuo rallentamento della possibilità di una prospettiva europea per tutti i Paesi dei Balcani occidentali impone all’Italia quella di ricoprire un ruolo di proiezione bilaterale nell’area, che possa partire dalla sua azione in questi Paesi che è andata sempre più ad aumentare, soprattutto in Serbia, Kosovo e Albania. In un contesto che ancora fatica a trovare slancio sociale, economico e quindi europeo, l’Italia deve rilanciare il proprio ruolo razionalizzando e rilanciando i propri strumenti politici, legislativi e finanziari già a sua disposizione, fungendo da coordinatore tra i vari attori istituzionali sul territorio per elaborare una strategia regionale per rafforzare una presenza preziosa per tutti gli stakeholders balcanici. 

La nostra analisi non si può che concludere con una visione che contenga anche il ruolo dell’Italia alla luce della crisi sanitaria. Come ha affermato nell’ultimo incontro del G20 il Presidente Mario Draghi “il multilateralismo sta tornando”; una frase vera che però rispecchia anche la necessità per l’Italia, che ricopre la presidenza del G20 fino al 2021, di essere leader e portare sul tavolo altre due questioni prioritarie: le disugualgianze globali ed il cambiamento climatico. Quest’ultimi due temi sono cruciali nelle relazioni con la Cina, complice per il 30% delle emissioni di CO2 globali, ma anche attore internazionale che fin troppo spesso non ha saputo rispondere alle continue privazioni dei diritti umani per i propri cittadini. 

Alla luce di tutto ciò, anche in un periodo di grandi incertezze e di grandi cambiamenti di alleanze, così com’è quello odierno, l’Italia deve tornare a prediligere una politica estera incisiva e capace di portarla ad avere un ruolo fondamentale in alcuni palcoscenici, preferendo così una propria azione coadiuvata da altri Paesi e soprattutto dall’Unione Europea, così da poter acquisire nuovamente il protagonismo che le compete. 

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