Sing saha anu henteu terang jalanna langkung saé naros.
“chi non conosce il sentiero è meglio che chieda”
E’ da qui che partiamo oggi, da un antico proverbio Sudanese; si perché praticare un sentiero che non si conosce potrebbe portarci per vie e a mete sbagliate, rallenterebbe il nostro cammino e rischierebbe di farci perdere i panorami migliori; questo accade nelle nostre giornate lontane da luoghi noti, nelle nostre gite domenicali e nelle nostre vacanze. Ma cosa accade invece quando il cammino a cui ci riferiamo diventa il percorso scolastico di un bambino/ragazzo in formazione? Cosa succede, poi, se questa strada è percorsa in luoghi diversi dal proprio luogo e continente d’origine, in questo caso, quello africano ricco di storia, cultura e tradizioni ancora mal rappresentate all’interno dei manuali scolastici di stampo eurocentrico?
Si, perchè sarà proprio il manuale scolastico la nostra cartina geografica, oggi, per poter riflettere insieme se, questo strumento, fondamentale per la costruzione del sapere, sia, visto il variegato mondo moderno, in grado di comprendere “le scuole degli altri” all’interno della nostra scuola italiana e sia rappresentativo di modelli culturali globali!

Il nostro zaino pesava e tanto, lo ricordiamo tutti benissimo, tra il libro di Italiano e grammatica della seconda ora e il tomo B di Geografia della quarta, le nostre schiene portavano per strada il peso del mondo intero. Ma più di tutti gli altri, pesava e mi affascinava quello di storia. Crescendo, ed entrando poi per lavoro e passione nel mondo della formazione, ho compreso il “peso” effettivo di quelle pagine e quanto debbano essere in grado di ripiegarsi, adattarsi e arricchirsi con il progredire del mondo perché è proprio da lì che impariamo ad orientarci con consapevolezza e responsabilità per sviluppare le capacità critiche necessarie per comprendere noi e gli altri. Si, perché se ben interrogato, il manuale, diviene uno strumento fondamentale in grado di disvelarci importanti fattori relativi alla costruzione identitaria e all’immaginario sull’alterità e, di conseguenza, sul senso del noi in un particolare periodo storico.
La cultura, infatti, è basilare per la conquista e la continua rigenerazione di un’effettiva libertà e rappresentazione del mondo. Benché continuamente insidiata da distorsioni e da strumentalizzazioni, quella storica costituisce una componente fondamentale della cultura, essenziale per essere liberi ed autonomi nelle scelte attuali e future, per favorire la più ampia convivenza nel rispetto delle diversità perché è tra i banchi di scuola e sul nostro manuale che si impara a divenire cittadini del mondo, del “nostro” mondo.

I comportamenti, le scale di valori e i contesti ambientali hanno subito negli ultimi tempi trasformazioni tanto consistenti e rapide da rendere urgenti e indispensabili correzioni e adeguamenti su tutte le modalità di formazione e di trasmissione della cultura e di coinvolgimento delle nuove generazioni, nell’intento di dotarle delle consapevolezze e delle cognizioni necessarie a raccordare con responsabilità e accortezza passato, presente e futuro (Borghi, 2016). Sono esigenze incombenti che stanno sollecitando tutte le discipline scolastiche a svincolarsi dalla generale arretratezza dei loro contenti e dalle frequenti lacune delle strategie didattiche adottate. Di fronte agli incalzanti interrogativi proposti dall’attualità è improrogabile trovare le ragioni, aggiornare i temi, scegliere i metodi e gli strumenti per adeguare la formazione alle esigenze e alle attese dei giovani e della società, la quale non è data come qualcosa di preconfezionato, ma si presenta come il «territorio delle ipotesi, delle alternative, della scelta, della libertà». Non può esserci infatti conoscenza e libertà se il sapere, quello storico in primis, rimane legato ad anguste visioni nazionali o eurocentriche (Lucenti & Hirsch, 2020), riservando alle evoluzioni estranee a questa loro limitata prospettiva pochi sguardi che talvolta acquistano il sapore di curiosità folkloriche, stereotipate e poco rappresentative di nuove realtà oggettive.

E’ da qui infatti che nascono i nostri interrogativi: in un mondo che ha necessità di muoversi verso l’assoluta inclusività, la nostra scuola, i nostri manuali, stanno muovendo i passi necessari per poterla garantire?
Non a caso, ne parliamo proprio in questa settimana dedicata all’Africa, il continente che più di tutti, per anni, dalla campagna di Etiopia al terrorismo islamico e ai fenomeni di migrazione attuale risulta essere quello peggio rappresentato tra le pagine dei nostri libri di testo. Testi e insegnanti infatti, faticano, ancora oggi a rintracciare e raccontare in maniera coerente, organica e realistica le radici e le premesse storiche di specifiche situazioni attuali proprio perché occorre un ripensamento delle proprie adesioni identitarie, in direzione di un’apertura verso coloro che provengono da culture e paesi differenti, attraverso la costruzione di una nuova concezione di identità nazionale maggiormente inclusiva.
Come ci insegna Baumann, infatti: «Il riconoscimento dell’appartenenza a una comunità o a una cultura non è riconducibile ad un unico elemento o ad un’unica dimensione. Le persone tendono a considerarsi contemporaneamente appartenenti a più comunità differenti, ognuna delle quali costruisce la propria cultura, le proprie regole e i propri codici. Vivere la propria vita, essere sé stessi, sentirsi autonomi, significa muoversi continuamente tra queste comunità, errare da una all’altra senza perdersi»
E’ l’approccio interculturale, promosso all’interno dei nostri manuali, quindi, che ci permetterà di garantire alle future generazioni, provenienti da ogni parte del mondo ma che convivono come vicini di banco, tutte le lenti necessarie per comprendere il mondo e concepire se stessi in una realtà in continuo cambiamento lontana dalle vecchie rappresentazioni di identità nazionale cosi rigida ed escludente verso l’adattamento in contesti internazionali in cui l’Africa non sia solo quella delle tribù o dei tramonti.