PEDAGOGIA

Dott. Pucci e la medicina del sorriso!

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“Il riso abbonda sulla bocca degli sciocchi!” diceva mia nonna ieri. ‘Ne siamo sicuri? Allora Pucci chi è? Una sciocca?’ penso io oggi.

Pucci ride, ma non è una sciocca. Anzi, Pucci, è una di quelle creature oniriche che, con il coraggio e la serietà, sorridendo, ci deve fare i conti ogni volta che esiste. Pucci indossa la maschera più piccola al mondo: il naso rosso. La storia dei clown, dei pagliacci, affonda le sue radici nel passato a cavallo tra la satira e la burla, fino ad arrivare ai circhi e poi ai film dell’orrore. Oggi il clown cessa di essere buffone di corte ed invade con le sue lunghe scarpe il campo dell’educazione e della cura.

Pucci ride, ma non è una sciocca. Indossando il suo naso rosso prende vita, così dipinge le palpebre di colori sgargianti, disegna un sorriso sulla guancia; poi infila calzini bucati, abiti d’arcobaleno ed un camice decorato. Pucci è un Dott. Sorriso. Senza naso rosso sei una persona, con quella maschera avviene l’incanto: ti trasformi in un magico medico-pagliaccio.

Dottore e sorriso: due parole apparentemente lontane; ospedale e colori, flebo e palloncini: campi semantici inconciliabili. Invece no! La “gelotologia” (dal greco ghelos riso e logos scienza) è la scienza che studia ed applica la risata e le emozioni positive nell’ambito della cura e del benessere. Questa scienza si è affermata nella seconda metà degli anni ‘80 e si è diffusa rapidamente in ogni parte del mondo. Questo approccio presto viene riconosciuto come “clownterapia”. Nasce in alcuni ospedali di New York tra il 1986 e il 1987. In questo periodo gruppi di clown professionisti cominciano ad affiancare i pediatri negli ospedali della grande città americana con l’intento di portare un po’ di gioia e serenità tra i piccoli pazienti.

Questa idea si estende velocemente a macchia d’olio prima negli States e poi nel mondo. La vera rivoluzione però esplode alla fine degli anni ‘90 quando nei grandi schermi viene proiettato il film che ha come protagonista un allora sconosciuto medico della West Virginia. Il dottore in questione è il famosissimo Hunter “Patch” Adams. Da allora migliaia di Dottor Sorriso riempiono le corsie degli ospedali, affiancano i medici durante le loro visite, assistono gli infermieri durante i prelievi, sostengono le famiglie nelle sale d’aspetto. Portano colore, gioia e risate laddove sarebbe molto difficile trovarne. Ma allora, gli interventi di Pucci e di tutte quelle sbadate creature come lei a che cosa servono? A distrarre? Non solo, sarebbe troppo facile. 

Quando Pucci entra in corsia, chi si nasconde dietro il naso può mettere a servizio di chi incontra tutte le competenze sociali, comunicative e di sostegno alla persona che possiede. I clown sono medici a tutti gli effetti, perché come loro curano. Certo, non lo fanno con i farmaci e nemmeno li sostituiscono, ma accompagnano con un sorriso chi deve subire i trattamenti. 

Pucci ride, ma non è una sciocca. Infatti, quando entra in corsia inventa mondi in cui introdurre pazienti, assistenti, e personale sanitario. I clown arrivano per proporre un altro modo di vivere la malattia, l’ambiente ospedaliero e tutte quelle operazioni di routine: distraggono il bambino mentre il personale esegue procedure dolorose, fanno visite di controllo alleggerendo il carico di stress del paziente e di chi gli sta accanto, parlano con le flebo, trasformano le sale d’attesa in divertenti fermate dell’autobus. Sono lì per dire alle persone che non sono sole ad affrontare le prove della vita. Tutte queste funzioni si potenziano ancora di più nelle pediatrie. I bambini infatti sono ancora più ancorati al mondo della fantasia e del sogno. 

Pucci ride, ma non è una sciocca. Il ridere stesso è di fatto una cura, si può annoverare tra gli interventi terapeutici in quanto educare al sorriso abbraccia tutte le dimensioni di cui l’uomo è composto: quella corporea, quella emotiva quella mentale e spirituale. 

Ridere stimola la produzione di serotonina, endorfine e anticorpi. Scoppiando a ridere si purificano e liberano le vie respiratorie superiori. Ridendo cuore e respirazione accelerano di ritmo, la pressione cala e i muscoli si rilassano. E questo per avvalorare solamente l’importanza medica della clownterapia. La grande arte di Pucci e degli altri clown in realtà è quella di fare del sorriso comunicazione, del ridicolo ridimensionamento della realtà, della maschera interlocutore discreto. I clown non fanno ridere solo per ridere. I clown si preparano, si esercitano, si allenano per elaborare le fatiche dei pazienti nei confronti delle ospedalizzazioni e delle cure, e lo fanno, distraendo, giocando, mettendosi in ridicolo, fingendosi esseri vulnerabili che concedono il potere decisionale al paziente, che per una volta, almeno per gioco, ha il controllo.

Ridere ha una funzione sociale, ecco che quando Pucci entra in una stanza e parlando con una flebo si inciampa e arrossendo porge un fiore al paziente, innanzitutto spiazza e provoca una risata tra i presenti che ribalta e riallinea i ruoli di ognuno. Paziente debole e deprivato della scelta, parente distrutto dalla preoccupazione, medico risoluto che ha il controllo, tutti si avvicinano dimenticando la propria funzione. I co-ridenti nel condividere le risa assottigliano le tensioni ed escono, seppur per qualche minuto, dai rispettivi ruoli scoprendosi uguali gli uni agli altri. Sembra banale, ma nei processi di ricovero riuscire a distrarre, a suscitare gioia fa bene, ma spostare il posizionamento di ognuno, è ancor più prezioso, in quanto non ammanetta il paziente ad una condizione fissa ed immutabile.

La risata è la forma più cristallina di comunicazione non verbale, nella maggior parte dei casi questa azione consuma le resistenze ponendo in posizione comoda l’interlocutore. Chi di noi ha mai vissuto un’ospedalizzazione o ha assistito qualcuno in reparto può sapere quanto il periodo nel letto diventi un unicum temporale, quanto i ritmi e i riti quotidiani vengano meno fino a consumare l’identità. I dottori sorriso sanno ribaltare gli schemi, spezzare la monotonia, regalare una risata agli adulti e distrarre i più piccoli. Quella del clown che opera in contesti di fragilità è una figura educativa a tutti gli effetti ed è educativa nella più profonda delle accezioni: “tira-fuori” (dal latino ex-ducere) la risata, il malessere, il bisogno inespresso, la paura e dà occasione di esorcizzare le emozioni negative. Giustamente il medico cura il corpo, ma troppo spesso ci si dimentica il piano emotivo. Certo, il clown non è la panacea di tutti i mali e di tutte le sofferenze, ma è un supporto, una possibile chiave per arrivare a zone della persona che non sono raggiungibili da una sonda, che non sono visibili attraverso una tac, che non si possono curare con una flebo.

 Il clown ride, ma va preso sul serio.

Nella maggior parte dei casi la clown-therapy viene erogata da personale volontario. A dimostrazione del fatto di quanto in una nazione, il volontariato possa colmare alcuni bisogni che non riescono a vedere la soddisfazione da parte dei servizi predisposti tradizionalmente. La sfida potrebbe essere quella di professionalizzare questa figura, o per lo meno di inserire nei percorsi di formazione del personale ospedaliero la pedagogia del sorriso, cioè la riflessione sull’uomo che sfidando la vita si forma, ponendo l’accento sul valore di contesti significativamente caratterizzati da un clima sereno e divertente. Riconoscere il sorriso come “cura” che può agevolare i processi di medicalizzazione tradizionali, in un’epoca caratterizzata dalla “sottrazione” di personale, budget e servizi, potrebbe essere il passo in avanti per allargare la rete di professionisti che possono fare “del bene”. Perché no coinvolgendo professionisti con il naso rosso che ridono, ma no, non sono degli sciocchi.

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